Ispirato in parte dalla sua recente collaborazione con l'autrice di testi, sceneggiatrice e regista Cynthia Mort, sua attuale compagna, in un film indipendente ancora inedito ('When We Kill The Creators') nel quale recita la parte di una musicista al centro del conflitto tra arte e commercio, il nuovo album di Shelby Lynne, intitolato semplicemente con il suo nome, contiene undici canzoni che per oltre metà sono state registrate proprio durante la lavorazione della pellicola. Tutte trasmettono un senso di profonda intimità e di naturalezza, a cominciare da 'Here I Am' che 'cattura' in studio con un solo microfono la splendida voce della cantautrice di Quantico, Virginia, accompagnata soltanto dal suo pianoforte. E' un indizio significativo dell'atmosfera che si respira in una collezione di 'torch songs' che Shelby ha registrato principalmente in solitaria e in presa diretta, suonando quasi tutti gli strumenti (chitarra acustica ed elettrica, basso, batteria, tastiere, persino un sassofono in 'My Mind's Riot') e facendosi affiancare di tanto in tanto solo dalle tastiere di Benmont Tench (pilastro degli Hearbreakers di Tom Petty), Mimi Friedman, Ed Roth e Billy Mitchell. Ne ha preso forma il disco forse più personale e autobiografico della sua produzione, in cui l'artista rivela un'anima sensibile, torturata e vulnerabile (come sua sorella Allison Moorer nel 'Blood' di qualche mese fa, che ne racconta la tormentata e tragica storia familiare). La tenebrosa, avvolgente 'Strange Things' e la dolente 'Revolving Broken Heart', registrate dal vivo durante le riprese, rafforzano il mood sincero e senza veli di questo progetto: 'Come artista', conferma la Lynne, 'non mi preoccupa mostrarmi nuda. Tutto è così falso e costruito, in questi giorni, mentre io desidero essere sincera: attualmente è l'unico modo per comunicare'. Lo ha fatto costruendo un disco spoglio e senza fronzoli, ma vario e tutt'altro che povero musicalmente: ricco di quelle sfumature country soul ('I Got You', 'Off My Mind', 'Don't Even Believe In Love') che ricordano il disco - 'Just A Little Lovin'' - che dodici anni fa ripercorreva le gesta di Dusty Springfield a Memphis, e di ballate di rarefatta eleganza come 'Love Is Coming' e 'Weather', tra brevi schizzi sonori come la conclusiva 'Lovefear' e partiture complesse e mutevoli come quelle che si dipanano nei quasi sette minuti di 'The Equation'. In un disco così concepito e realizzato, tuttavia, a fare la differenza è soprattutto la voce: che la Lynne usa magistralmente ricorrendo talvolta a sovraincisioni che ne amplificano la potenza evocativa e andando dritta al cuore emotivo di questo suo toccante diario musicale