ALL THAT RECKONING

Si sentiva la mancanza dei fratelli Timmins e dei Cowboy Junkies, a sei anni dal precedente album di studio 'The Wilderness' e nel trentennale della pubblicazione dell'epocale 'The Trinity Sessions' (uno 'sleeper' capace di vendere un milione di copie). I dubbi sui cambiamenti in corso nel mercato discografico e nelle modalita' di consumo della musica hanno lasciato spazio all'urgenza creativa e alla voglia di rimettersi in gioco al di la' dei tanti progetti collaterali che hanno riempito questo lungo lasso di tempo: il risultato e' un disco che, come spiega il chitarrista e autore delle canzoni Michael Timmins, si interroga sullo stato del mondo senza tralasciare temi piu' intimi e personali; le due parti della title track sono gli estremi di un percorso sonoro che - sempre nelle parole di Timmins . 'puo' essere visto come una sincera dichiarazione personale sulla politica e sulle relazioni umane, su cio' che sta accadendo nel mondo. Queste canzoni parlano di resa dei conti sotto il profilo personale e sociale'. Le trame ipnotiche e dolcemente psichedeliche che sono sempre state uno dei tratti distintivi del gruppo canadese, la voce suadente, sensuale e carezzevole di Margo Timmins e la forza tranquilla ma incisiva delle loro canzoni non hanno perso fascino con il tempo: Michael definisce 'All That Reckoning' il loro disco piu' profondo e completo di sempre, e quel che e' certo e' che si tratta di un album che non sfigura affatto a confronto dei pezzi migliori del loro catalogo, facile all'ascolto ma allo stesso tempo viscerale e incisivo, e in cui la dolcezza di certe melodie si contrappone talvolta al timbro stridente delle chitarre elettriche. In brani come 'The Things We Do To Each Other' e 'When We Arrive', capaci di sondare le profondita' dell'animo e le distorsioni del mondo in cui viviamo, si riconoscono tutte le qualita' che ci hanno fatto amare da sempre una band diversa da tutte le altre