TAME IMPALASLOW RUSHRegistrato tra Los Angeles e la città australiana di Fremantle dove il cantante e chitarrista Kevin Parker, depositario unico del marchio e del progetto artistico Tame Impala, possiede uno studio di registrazione, 'The Slow Rush' pone fine a cinque anni di silenzio discografico (che Parker ha colmato con collaborazioni da prima pagina con superstar come Lady Gaga, Kanye West e il produttore Mark Ronson) sciorinando 57 densi minuti di musica che mettono in disparte le chitarre elettriche protagoniste dei tre dischi precedenti per focalizzarsi su un repertorio decisamente più pop e che fa largo uso di elettronica e sintetizzatori. Il pop zuccheroso e accattivante, ha spiegato il musicista in una recente intervista a Billboard, rappresenta nella sua filosofia musicale 'lo yin rispetto allo yang del rock psichedelico' e la sua intenzione con questo disco era di diventare una sorta di Max Martin, demiurgo della musica europea da classifica. Cosicché stavolta, scrive Thomas Smith dell'NME, Parker 'flette ogni muscolo musicale del suo corpo' a partire dall'intimista e riflessivo brano di apertura 'One More Year', scandito da un battito regolare e da loop e il cui testo cita Mick Jagger e Abbey Road: è solo l'introduzione a una sequenza di canzoni che lo stesso Smith definisce 'spesso eteree, dense e cosmiche' e di cui colpiscono la produzione e gli arrangiamenti moderni, creativi e inusuali, che in pezzi come 'Breathe Deeper' oscillano tra un fraseggio di piano house e i Fleetwood Mac degli anni Ottanta, mentre sul mensile Mojo Jude Rogers loda il basso in stile disco music di 'Is It true' e la riuscita mescolanza di melodia anni '60 (alla 'While My Guitar Gently Weeps') e musica elettronica trattata con l'auto-tune di 'Posthumous'. Ma niente paura: la voce angelica di Kevin si mette al servizio di composizioni molto personali come 'Forgiveness' (un dialogo con il padre scomparso) spaziando da avvolgenti melodie malinconiche al solare ottimismo della conclusiva 'One More Hour' e riuscendo sempre a evitare le secche del pop più trito e banale
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