Da oltre trent'anni portavoce della migliore musica popolare americana in bilico tra delicata e confessionale canzone d'autore (specialità di Emily Ray) e grintoso folk rock socialmente consapevole e da battaglia (in cui eccelle Amy Ray), le Indigo Girls tornano sulla scena con il primo album di studio da cinque anni a questa parte: registrato al Real World Studio di Peter Gabriel a Box, durante una pausa dell'ultimo tour inglese del duo e con il vecchio amico John Reynolds (Sinead O'Connor, Damien Dempsey) nel ruolo di produttore, 'Look Long' contiene undici brani tutti scritti dalle due musiciste che in questa occasione, a partire dalla copertina che le ritrae bambine, volgono lo sguardo alle loro origini e ai primi passi nel mondo musicale mettendo assieme undici 'filmini' di famiglia in Super 8 e proiettandoli virtualmente sul muro del nostro salotto di casa. 'Siamo modellati dal nostro passato', riflette la Saliers. 'Che cosa ci rende quel che siamo ora? E perché?'. Alcune risposte si trovano in un disco per il quale Reynolds, anche batterista, ha ricomposto lo straordinario gruppo, già al fianco della O'Connor, che nel 1999 aveva registrato 'Come On Now Social': alla bassista Clare Kenny, alla tastierista Carol Isaacs, alla violoncellista Caroline Dale e al chitarrista solista Justin Adams (braccio destro di Robert Plant prima negli Strange Sensation e poi nei Sensational Space Shifters) si unisce stavolta anche la violinista Lyris Hung, da tempo nella touring band delle ragazze Indaco e ultimo tassello di una band che per le Indigo Girls rappresenta una vera e propria 'bussola musicale' capace di adattarsi camaleonticamente alla natura di canzoni sempre diverse e dall'ampio orizzonte stilistico. E' la Ray a firmare l'iniziale, funkeggiante e stradaiola 'Shit Kickin'', lettera d'amore a una nazione, la sua Georgia, in cui la sua identità di donna di sinistra si scontra con il bigottismo e i pregiudizi razziali, una 'Muster' che riflette sul propagarsi della violenza provocata negli Stati Uniti dal possesso incontrollato di armi, il power pop suburbano di 'K.C. Girl' e la sorprendente 'Favorite Flavor' che nei suoi ritmi spezzati evoca certe cose dei B-52's. Nella title track - soffice ballata costruita su un arpeggio di pianoforte che è al tempo stesso un lamento e una preghiera per un futuro migliore - Saliers si conferma da parte sua una patriota nella più autentica tradizione di Woody Guthrie, mentre sono farina del suo sacco anche il rock spigoloso ed elettrico di 'Change My Heart' tra chitarre psichedeliche e avvolgenti fraseggi di organo, l'elegiaca dedica alla sorella minore di 'Sorrow And Joy', il gioioso incitamento alla liberazione personale di 'Howl At The Moon', il nostalgico pop di 'When We Were Writers' che ricorda gli inizi del duo e una 'Country Radio' ingentilita da un tappeto d'archi in cui l'autrice ribadisce apertamente il suo amore per il country e il suo essere gay